venerdì 1 maggio 2009

No dal Molin al cospetto di Obama



Ogni tanto una bella notizia. Cinzia Bottene attivista del movimento No dal Molin che si oppone all'ampliamento della base militare USA di Vicenza è stata ricevuta dal congresso degli Stati Uniti per esporre le ragioni della sua protesta, una cosa impensabile durante l'ammministrazione di Bush, ecco qui il bellissimo racconto di Cinzia tratto dall'articolo del Corriere:

«La verità vera? È che so­no un’incosciente totale. Mica altro». Cin­zia Bottene, 52 anni, casalinga di Vicenza, ex timida («Da ragazzina camminavo ra­sente i muri. Ma da quando le mie ami­che mi hanno obbligato a salire sul palco a Trento per contestare Prodi, marcio co­me un treno»), la vorrebbe liquidare lì, tutta la storia. Appena sbarcata dopo un volo Washington-Parigi-Venezia, mentre recupera le valigie al nastro trasportato­re, il volto e l’anima del movimento No Dal Molin se la ride con leggerezza. La stessa con la quale da mesi affronta mili­tari e politici. E dell’avventura americana appena conclusa la prima cosa che ti rac­conta è un particolare da gita scolastica: «Ma lo sai che dormivamo alla Pink House? È la casa delle donne attiviste per la pace. Sono loro che ci han­no ospitate per tutto il peri­odo e ci hanno aiutato ne­gli spostamenti. Ci siamo divertite da matti. Una se­ra, per festeggiare, abbia­mo cucinato noi la carbona­ra: un successone».

Cinzia, Laura Bettini ed Emanuele Rivellino (anche loro del No Dal Molin) sono stati ricevuti giovedì scor­so, per la prima volta, al Congresso degli Stati Uniti, dalla Commissione Appropria­tion military construction. «Una eccezio­ne, mi dicono, perché è raro che questo importante organismo, che definisce gli investimenti militari, convochi degli stra­nieri ». Dopo tre anni di picchetti, manife­stazioni, proteste e contestazioni biparti­san, vedersi a colloquio con chi può deci­dere davvero le sorti della base americana da loro tanto contestata, per la pasionaria di Vicenza e i suoi compagni di viaggio è stata, manco a dirlo, «un’emozione gran­dissima. Se penso a tutte le porte sbattute e all’indifferenza che abbiamo ricevuto qui in Italia... Lì invece hanno un concetto molto chiaro di democrazia formale: tutti possono e devono dire la loro. E così, an­che noi siamo riusciti a farci ricevere. Co­me? Roba da manuale. Abbiamo chiesto prima un colloquio al presidente della commissione, Sam Farr, un democratico. Poi abbiamo spedito i moduli con i nostri dati e una relazione. Però eravamo convin­ti di fare una cosa inutile, come quando imbuchi la cartolina per un concorso a premi... Non ti aspetti di vincere. E inve­ce, quando ci è arrivata la lettera di invito col logo del Congresso, ci sembrava di es­sere in un film di Frank Capra».

Così, giovedì mattina, Cinzia Bottene si è ritrovata davanti alla Commissione fi­nanziamenti militari degli Stati Uniti. Una delle più potenti del Congresso. «Io e Laura per l’occasione abbiamo indossato un tubino nero con filo di perle. Ci siamo ispirate a Michelle Obama... Emozionate? Nella sala accanto stava deponendo Hil­lary Clinton, e in un’altra ala c’era Oba­ma: inutile dire di no. Ma siamo stati ac­colti in maniera sorprendente, devo am­metterlo. C’era un grande silenzio quan­do parlavamo. O meglio, quando parlava Laura, che sa le lingue, ed è stata bravissi­ma. Io l’inglese lo capisco così così, lo par­lo peggio. Ho preferito star zitta. E dire che non c’eravamo preparate nemmeno un discorso». Nemmeno una scaletta? «No, giuro. Beh, dopo che per anni parli di certe cose, le sai a memoria. Abbiamo spiegato loro le ragioni per cui non do­vrebbero proseguire nel progetto di co­struzione della base a Vicenza: il proble­ma della falda acquifera, la eccessiva vici­nanza al centro storico. E poi come la de­cisione sia stata nascosta all’intera popo­lazione per anni. Alla fine conoscevano il problema a fondo. Per capirci, ora nessu­no — anche tra gli americani — potrà più dire di non sapere».

Poche ma mirate le domande dei depu­tati americani: «Per esempio ci hanno chiesto se cambiando l’architettura del progetto saremmo stati più contenti... Ma gli abbiamo spiegato, nascondendo un sorriso, che non era mica una questio­ne di estetica! Poi hanno voluto sapere co­me si poneva il governo italiano rispetto a questo caso. E noi giù a dire dell’accor­do Bush-Berlusconi, dell’ultimatum di Spogli, e dell’editto bulgaro di Prodi. Li abbiamo stesi. Tanto che i due deputati repubblicani se ne sono stati zitti zitti fi­no alla fine. Al termine dell’incontro il presidente si è girato verso uno dei mem­bri della Commissione e gli ha detto: con­tattiamo subito il Pentagono e chiediamo se ci sono spazi di intervento. Capisci? Proprio così».

Tutta un’altra musica rispetto a quando c’era l’amministrazione Bush, secondo Cinzia: «Quando andammo allora, riu­scimmo solo a parlare con qualche depu­tato nei corridoi: ci ascoltavano per dove­re, con lo sguardo distratto, la mano al cel­lulare, e poi una pacca sulla spalle e via. Insomma il cambio di clima, con Obama, si fa sentire. E la nostra vicenda ne è la prova. Se ci fosse stato ancora Bush alla Casa Bianca non ci avrebbero nemmeno ricevuto. Però il potere del Pentagono è ancora fortissimo. Lo percepisci dagli sguardi. Da come molti di loro, alla fine, ci sono venuti incontro e in un orecchio ci hanno bisbigliato: andate avanti, fate bene. Ce la farete». E se ce la faceste davve­ro? «Avremmo dimostrato che anche le formichine, come ci hanno spesso defini­to, a volte vincono».

Intervista di Angela Frenda.

In alto trovate un video con Cinzia.

1 commento:

Michele ha detto...

scusate l'"off topic".
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http://www.illume.it/eventi/201-legalita-e-giustizia.html

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