Ogni tanto una bella notizia. Cinzia Bottene attivista del movimento No dal Molin che si oppone all'ampliamento della base militare USA di Vicenza è stata ricevuta dal congresso degli Stati Uniti per esporre le ragioni della sua protesta, una cosa impensabile durante l'ammministrazione di Bush, ecco qui il bellissimo racconto di Cinzia tratto dall'articolo del Corriere:
«La verità vera? È che sono un’incosciente totale. Mica altro». Cinzia Bottene, 52 anni, casalinga di Vicenza, ex timida («Da ragazzina camminavo rasente i muri. Ma da quando le mie amiche mi hanno obbligato a salire sul palco a Trento per contestare Prodi, marcio come un treno»), la vorrebbe liquidare lì, tutta la storia. Appena sbarcata dopo un volo Washington-Parigi-Venezia, mentre recupera le valigie al nastro trasportatore, il volto e l’anima del movimento No Dal Molin se la ride con leggerezza. La stessa con la quale da mesi affronta militari e politici. E dell’avventura americana appena conclusa la prima cosa che ti racconta è un particolare da gita scolastica: «Ma lo sai che dormivamo alla Pink House? È la casa delle donne attiviste per la pace. Sono loro che ci hanno ospitate per tutto il periodo e ci hanno aiutato negli spostamenti. Ci siamo divertite da matti. Una sera, per festeggiare, abbiamo cucinato noi la carbonara: un successone».
Cinzia, Laura Bettini ed Emanuele Rivellino (anche loro del No Dal Molin) sono stati ricevuti giovedì scorso, per la prima volta, al Congresso degli Stati Uniti, dalla Commissione Appropriation military construction. «Una eccezione, mi dicono, perché è raro che questo importante organismo, che definisce gli investimenti militari, convochi degli stranieri ». Dopo tre anni di picchetti, manifestazioni, proteste e contestazioni bipartisan, vedersi a colloquio con chi può decidere davvero le sorti della base americana da loro tanto contestata, per la pasionaria di Vicenza e i suoi compagni di viaggio è stata, manco a dirlo, «un’emozione grandissima. Se penso a tutte le porte sbattute e all’indifferenza che abbiamo ricevuto qui in Italia... Lì invece hanno un concetto molto chiaro di democrazia formale: tutti possono e devono dire la loro. E così, anche noi siamo riusciti a farci ricevere. Come? Roba da manuale. Abbiamo chiesto prima un colloquio al presidente della commissione, Sam Farr, un democratico. Poi abbiamo spedito i moduli con i nostri dati e una relazione. Però eravamo convinti di fare una cosa inutile, come quando imbuchi la cartolina per un concorso a premi... Non ti aspetti di vincere. E invece, quando ci è arrivata la lettera di invito col logo del Congresso, ci sembrava di essere in un film di Frank Capra».
Così, giovedì mattina, Cinzia Bottene si è ritrovata davanti alla Commissione finanziamenti militari degli Stati Uniti. Una delle più potenti del Congresso. «Io e Laura per l’occasione abbiamo indossato un tubino nero con filo di perle. Ci siamo ispirate a Michelle Obama... Emozionate? Nella sala accanto stava deponendo Hillary Clinton, e in un’altra ala c’era Obama: inutile dire di no. Ma siamo stati accolti in maniera sorprendente, devo ammetterlo. C’era un grande silenzio quando parlavamo. O meglio, quando parlava Laura, che sa le lingue, ed è stata bravissima. Io l’inglese lo capisco così così, lo parlo peggio. Ho preferito star zitta. E dire che non c’eravamo preparate nemmeno un discorso». Nemmeno una scaletta? «No, giuro. Beh, dopo che per anni parli di certe cose, le sai a memoria. Abbiamo spiegato loro le ragioni per cui non dovrebbero proseguire nel progetto di costruzione della base a Vicenza: il problema della falda acquifera, la eccessiva vicinanza al centro storico. E poi come la decisione sia stata nascosta all’intera popolazione per anni. Alla fine conoscevano il problema a fondo. Per capirci, ora nessuno — anche tra gli americani — potrà più dire di non sapere».
Poche ma mirate le domande dei deputati americani: «Per esempio ci hanno chiesto se cambiando l’architettura del progetto saremmo stati più contenti... Ma gli abbiamo spiegato, nascondendo un sorriso, che non era mica una questione di estetica! Poi hanno voluto sapere come si poneva il governo italiano rispetto a questo caso. E noi giù a dire dell’accordo Bush-Berlusconi, dell’ultimatum di Spogli, e dell’editto bulgaro di Prodi. Li abbiamo stesi. Tanto che i due deputati repubblicani se ne sono stati zitti zitti fino alla fine. Al termine dell’incontro il presidente si è girato verso uno dei membri della Commissione e gli ha detto: contattiamo subito il Pentagono e chiediamo se ci sono spazi di intervento. Capisci? Proprio così».
Tutta un’altra musica rispetto a quando c’era l’amministrazione Bush, secondo Cinzia: «Quando andammo allora, riuscimmo solo a parlare con qualche deputato nei corridoi: ci ascoltavano per dovere, con lo sguardo distratto, la mano al cellulare, e poi una pacca sulla spalle e via. Insomma il cambio di clima, con Obama, si fa sentire. E la nostra vicenda ne è la prova. Se ci fosse stato ancora Bush alla Casa Bianca non ci avrebbero nemmeno ricevuto. Però il potere del Pentagono è ancora fortissimo. Lo percepisci dagli sguardi. Da come molti di loro, alla fine, ci sono venuti incontro e in un orecchio ci hanno bisbigliato: andate avanti, fate bene. Ce la farete». E se ce la faceste davvero? «Avremmo dimostrato che anche le formichine, come ci hanno spesso definito, a volte vincono».
Intervista di Angela Frenda.
In alto trovate un video con Cinzia.
1 commento:
scusate l'"off topic".
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